Non è assolutamente casuale che, in numero sempre crescente negli ultimi anni, nei principali festival europei a carattere documentario e/o video artistico siano presenti opere che fanno ricorso ad immagini tratte da pellicole a passo ridotto (8mm e super8) e derivanti da una pratica cinematografica privata e familiare. Accanto ai casi più eclatanti, l’oramai storico “Un’ora sola ti vorrei” di Alina Marazzi ed il recente e pluripremiato “Must read after my death” di Morgan Dews, non si contano più non solo i corto – medio metraggi in cui gli autori/artisti rielaborano i materiali cinematografici della propria infanzia ma anche il numero di registi che realizzano i propri film attingendo quasi esclusivamente ad archivi d’immagini private e, sulle orme dell’ungherese Péter Forgács, maestro riconosciuto del genere, provano ad integrare sullo sfondo della grande Storia e dei grandi eventi le vicissitudini, minori ma non meno significative, della gente comune.
Né risulta altrettanto casuale che il cinema di fiction si avvalga con sempre maggiore frequenza d’inserti “amatoriali”, il più delle volte (paradossalmente e per ovvie ragioni) “finto-amatoriali”, e che registi particolarmente impegnati sul fronte estetico, uno per tutti Lars von Trier, abbiano adottato e addirittura teorizzato per l’intero film modalità e tecniche di ripresa analoghe a quelle in uso nel cinema familiare. In entrambi i casi con l’intento esplicito di restituire vitalità ed autenticità ad un linguaggio, quello della finzione cine-televisiva industriale, logorato dalla sua stessa ripetitiva classicità; e allo stesso tempo per rendere incisivo, penetrante, inedito in un certo senso, lo sguardo attraverso cui l’autore interagisce con la scena rappresentata. Come nel cinema di famiglia, appunto.
Il fatto è che, diversamente dal passato, oggi anche in ambito accademico non si esita più a riconoscere l’importanza, il valore, la straordinaria ricchezza e perfino le potenzialità estetiche che la documentazione cinematografica privata possiede. Ci sono aspetti di chiara evidenza in relazione alla sociologia alla storia, all’antropologia. Ci sono occorrenze meno intuitive, e tuttavia essenziali, relative ai rapporti di reciproca influenza tra cinema industriale e cinema amatoriale, che si rivelano appieno solo considerando l’evoluzione delle forme artistiche e dei linguaggi in un approccio “globale” alla storia della comunicazione audiovisiva.
Il fatto è che in più convegni studiosi di Storia si sono interrogati su come il cinema familiare possa costituire fonte ulteriore per la ricerca storica ed in quale misura possa arricchirla.
Il fatto è che molti nuovi autori ricorrono alle pellicole familiari o agli archivi privati come giacimento di materia prima da raffinare e piegare alle proprie esigenze espressive.
Il fatto è che, come alcuni sostengono, grazie al processo di democratizzazione in ambito audiovisivo favorito dalla rivoluzione digitale, una nuova forma cinematografica si è affacciata sulla scena del nuovo secolo , il Cinema Privato, caratterizzato da una vocazione diaristica, autobiografica, memorialistica direttamente derivata dal corpo dei materiali familiari e sperimentali del secolo scorso.
Per questo un’iniziativa volta alla salvaguardia del patrimonio cinematografico privato del proprio territorio non solo risulta oggi urgente e necessaria per preservare un aspetto cruciale della cultura territoriale ma rappresenta anche un impegno dovuto nei riguardi delle generazioni future. Per consentire loro, in epoca di globalizzazione e di inevitabile crisi d’identità, anche attraverso i film di famiglia, di mantenere saldo il contatto con quel nucleo essenziale delle proprie radici che nella quotidianità e nello sguardo popolare in larga misura si definiscono.
Il video “ Impressioni a distanza” che proietto in questa occasione è una tra le diverse esemplificazioni possibili del fare memoria audiovisiva.
Tre blocchi di pellicole domestiche ( Home movies 8mm e single8), girate a 20 anni di distanza l’una dall’altra (1935-1957-1975) e digitalmente riunite in un unico quadro, parlano, ora singolarmente ora simultaneamente, dell’evolversi dell’occhio cinematografico privato, dei supporti e delle tecniche amatoriali, dell’eterno fluire delle generazioni, della prepotenza della memoria e delle fatali insidie della nostalgia. Nella vicenda umana di un singolo nucleo familiare, con tutte le inevitabili specificità, si rispecchia l’evolversi generazionale di un intero paese. L’esperienza privata, privatissima, si fa in un certo senso universale e condivisibile.
“Impressioni a distanza” deriva da un’ antica realizzazione (1976) che ho rielaborato nel 2007 utilizzando gli strumenti dell’editing digitale, riducendola rispetto alla durata iniziale e arricchendola del testo della lettera attraverso cui mio padre nel 1935, giovane ufficiale in Etiopia, stabilì il primo contatto con mia madre.
Ho aggiunto anche una traccia musicale.
Insomma ho messo in pratica quello di cui da sempre sono convinto: che il Cinema Privato, a differenza dell’audiovisivo di derivazione industriale, accoglie quei rifacimenti e quelle varianti che il passare del tempo, a ragione o a torto, suggerisce, consentendo di riposizionare il proprio sguardo, di dare nuove connotazioni ad intuizioni ed emozioni precedenti e di offrire concreta testimonianza dei processi di evoluzione interiore cui ogni essere umano inevitabilmente va incontro.
Firenze 31 marzo 2009 Luca Ferro
autore audiovisivo
curatore del sito www.cinemaprivato.it
Incaricato di laboratorio di Cinema Privato al DAMS dell’Università di Firenze